La performance, “Papalagi”, racconta la storia di Tuiavii, un vecchio capotribù delle Isole Samoa, quando, agli inizi del Novecento, viene invitato a visitare la società del moderno uomo occidentale, ossia di colui che gli indigeni dei mari del sud chiamano “papalagi”. Rientrato nella sua isola, il vecchio capo chiama a raccolta i suoi fratelli polinesiani e li mette in guardia sulle stranezze e le follie del mondo moderno. Dalle sue argute osservazioni scaturisce una sorta di “antropologia capovolta” in cui è l’uomo civilizzato e progredito dell’Europa ad essere sottoposto ad un’attenta critica che ne pone in rilievo contraddizioni e paradossi. E’ evidente l’analogia fra l’indigeno, stigmatizzato come figura primitiva e regredita, e la persona disagiata o marginale. L’isola di Tuiavii diventa così la metafora di uno spazio in cui il “diverso” può rimettere in gioco i parametri di giudizio del cosiddetto “normale”.
L’originale inversione di prospettiva legata alla vicenda di “Papalagi” trova un corrispettivo nella strutturazione dello spettacolo. Si verifica un capovolgimento dei comuni parametri di giudizio, per cui è lo spettatore – e non l’attore – che viene messo in discussione, attraverso una serie di giochi e di messaggi interattivi dotati di una forte carica emotiva.
Per la regia di Satyamo Hernandez