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LABORATORIO PERFORMATIVO: “PAPALAGI” – Evento nell’ambito del Progetto “La Rete – costruire legami fuggire all’isolamento”, finanziato dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali.
23 Febbraio 2019 @ 9:30 - 24 Febbraio 2019 @ 19:00
“Il mio mezzo espressivo è il teatro perché ha a che fare con l’immediatezza, con la creazione nell’istante, con l’atto che muore nello stesso momento in cui si compie, con la perdita e l’illogicità di un luogo, di un tempo, con l’irripetibilità della storia che si evolve o si involve ogni sera in maniera diversa.” Emma Dante
“Il mio scopo non è insegnarvi a recitare, il mio scopo è aiutarvi a creare un uomo vivo da voi stessi.” Konstantin Stanislavskij
“La performance non è un’illusionistica copia della realtà, nè la sua imitazione. Non è una serie di convenzioni accettate come un gioco di ruolo, recitato in una separata realtà teatrale. L’attore non recita, non imita, o pretende. Egli è se stesso”. Jerzy Grotowski
Alla fine degli anni sessanta il Living Theatre, con il quale ho vissuto e lavorato per 10 anni, proclamava: “Il teatro è fuori del teatro!”. Invitava il pubblico ad alzarsi dalle poltrone comode e vellutate, per gettarsi nel vivo dell’azione. Istigava l’attore ad uscire da quella zona protetta del teatro ed entrare nel mondo. Cercava di sciogliere quella quarta parete che relegava lo spettatore a un ruolo di mero osservatore ed imprigionava l’attore nel regno del “verosimile”.
Si propone un laboratorio di elaborazione performativa, utilizzando il testo di “Papalagi di Tuiavii di Tiavea” (creata e rappresentata dall’omonima Compagnia Teatrale Papalagi di Lucca) come pretesto per un percorso di teatro sociale. Il testo narra la storia e il pensiero del vecchio capotribù delle Isole Samoa, Tuiavii, che agli inizi del Novecento venne invitato a visitare la società del moderno uomo occidentale, ossia di colui che gli indigeni dei mari del sud chiamano “Papalagi”. Al rientro nella sua isola, il vecchio capo chiama a raccolta i suoi fratelli polinesiani per metterli in guardia sulle stranezze e le follie del mondo moderno. Dalle sue argute osservazioni scaturisce una sorta di “antropologia capovolta” in cui è l’uomo civilizzato e progredito dell’Europa ad essere sottoposto ad un’attenta critica che ne pone in rilievo contraddizioni e paradossi. L’isola di Tuiavii diventa così la metafora di uno spazio in cui il “diverso” può rimettere in gioco i parametri di giudizio del cosiddetto “normale”.
Il lavoro di Satyamo Hernandez, assistito dalla psicologa ed assistente di produzione, Abha Federica Mariano, si colloca in quell’importantissimo settore del teatro contemporaneo che utilizza lo strumento “teatro” come catalizzatore di processi di consapevolezza e di crescita, collocando la propria ricerca all’interno di percorsi dediti allo sviluppo del potenziale della persona e all’affermazione del diritto alla cittadinanza, specie in situazioni di stigma e marginalità sociale.
In tale prospettiva il lavoro sarà incentrato sulle dinamiche di gruppo e sulla necessità di formare un collettivo in grado di accogliere e valorizzare le identità personali e la coralità dell’insieme. Le parole d’ordine saranno: creazione della zona franca, abbandono del giudizio, fluire, ritmi, condivisione ed ascolto, esplorazione, espressione corporea, spontaneità, voce e comunicazione non verbale, spazialità e confini, controllo e perdita di controllo, attenzione e trance, coscienza di sè e campo empatico.